LA VARROA DESTRUCTOR: ORIGINE, DIFFUSIONE E CONSEGUENZE

L’acaro Varroa (Varroa destructor) è tristemente noto a tutti, ormai, in quanto è la causa di una delle infestazioni più gravi a danno dell’Apis mellifera, la nostra ape comune. La diffusione della Varroa è abbastanza “recente”, essendosi propagata nel nostro continente solo a partire dagli anni ’70.

Originariamente, la Varroa era un parassita dell’Apis cerana, l’ape asiatica, la quale aveva sviluppato particolari meccanismi di difesa, riuscendo a tollerate l’acaro. L’introduzione di esemplari di Apis mellifera in Asia sud-orientale nel corso degli anni ’40 del secolo scorso ha permesso all’acaro di fare il “salto d’ospite“, parassitando anche l’Apis mellifera e diffondendosi in tutto l’Oriente e, successivamente, in Occidente.

Ad oggi, solo Australia e Madagascar sembrano non aver sofferto dell’arrivo di questo micidiale acaro.  In Italia, il primo caso è stato registrato nel 1981, in provincia di Gorizia. Da quel momento, l’acaro si è diffuso a macchia d’olio, rendendo l’infestazione degli alveari un problema comune a tutti.

CARATTERI PRINCIPALI DELLA VARROA

Varroa su ape

La Varroa destructor presenta un forte dimorfismo sessuale, ovvero il maschio e la femmina presentano caratteri morfologici molto diversi fra loro. La femmina è più grande del maschio, di colore bruno-rossastro, con quattro paia di zampe poste sul lato anteriore del corpo, che ha una forma ellissoidale. I maschi, invece, sono più piccoli, di colore biancastro e si ritrovano principalmente nelle cellette, dove nascono, si riproducono e poi muoiono. È quindi l’acaro femmina responsabile dell’azione parassitaria a danno delle api.  Esse si nutrono dell’emolinfa delle api adulte e della covata, prediligendo quella maschile.

CICLO DI VITA DELLA VARROA

Il ciclo biologico di sviluppo della Varroa segue quello delle api. In assenza di covata, la Varroa rimane saldamente ancorata al corpo delle operaie, attendendo la ripresa dell’ovodeposizione da parte dell’ape regina per riprodursi a sua volta.

La Varroa si riproduce solo all’interno della covata opercolata. Essa riconosce i feromoni emessi dalle larve prossime all’opercolatura e per questo riescono a penetrare nella celletta prima che essa venga sigillata. La Varroa madre si rifugia sul fondo della cella, in mezzo alla pappa reale, fino alla conclusione dell’opercolatura. Successivamente, si attacca alla larva e inizia a succhiarne l’emolinfa.

Deposizione delle uova

Dopo circa 2 giorni e mezzo dalla chiusura dell’opercolo, la varroa inizia a deporre le sue uova. La prima di esse è di norma maschile, mentre le successive femminili. Essa può deporre tra le 4 e le 6 uova per ogni ciclo riproduttivo. Più è lungo il periodo di sviluppo di larva e pupa, e quindi la durata dell’opercolazione, più uova può deporre. Questo può essere uno dei motivi per cui la varroa predilige la covata maschile, avendo essa tempistiche di sviluppo più lunghe e permettendo quindi lo sviluppo di più varroe sessualmente mature.

Fecondazione

Il maschio raggiunge la maturità sessuale dopo circa 6 giorni e mezzo dalla deposizione, mentre la femmina ci impiega un giorno in meno. Questo fa sì che il maschio e la femmina siano fertili nel medesimo periodo, permettendo la fecondazione  dell’acaro.

Maturità

Una volta che l’ape è completamente sviluppata e pronta per uscire dalla celletta, le varroe che hanno raggiunto la maturità rimarranno aggrappate al corpo dell’ape, fuoriuscendo con essa. Le femmine immature e i maschi, invece, rimarranno nella cella e moriranno.

Le varroe feconde abbandoneranno il corpo dell’ape solo nel momento adatto per rientrare in una celletta e riprendere il ciclo riproduttivo. In generale, è stato studiato che possono compiere in media 2-3 cicli riproduttivi nel corso della loro intera esistenza.

GLI EFFETTI DELL’INFESTAZIONE

ape con ali deformi

La Varroa ha effetti profondamente negativi sulla salute del suo ospite. Si è visto che le api infestate nascono con un peso inferiore e minor concentrazione di carboidrati e proteine. Inoltre, presentano molto frequentemente malformazioni di vario tipo: riduzione delle dimensioni, addome sottosviluppato e malformazioni di pungiglione, ali e zampe. Anche il sistema immunitario dell’ape risulta particolarmente compromesso, abbassando le sue capacità di difesa e incrementando le possibilità di attacco di altri patogeni, quali batteri e funghi. È stato dimostrato che un’ape infestata durante la sua fase di bottinatrice copre in volo distanze più brevi e ha performance di raccolta inferiori rispetto a bottinatrici non parassitate. La Varroa, inoltre, è vettore di numerose virosi, quali il virus delle ali deformi  (DWV) e il virus della paralisi acuta (ABPV).

PROPAGAZIONE DELL’INFESTAZIONE

Nel caso della Varroa, non ha senso parlare di contagio, ma piuttosto di “reinfestazione“. Un alveare trattato può ritrovarsi ancora fortemente infestato da Varroa in seguito ai fenomeni di  saccheggi e deriva, che mettono in contatto api con Varroa allo stato foretico e api”sane”. Anche l’apicoltore può farsi vettore della Varroa nel momento in cui movimenta sciami o sposta favi di covata da un alveare all’altro. Un apicoltore che non somministra in maniera corretta i trattamenti può, inoltre, diffondere maggiormente l’acaro, andando a intaccare anche gli alveari limitrofi.

VALUTAZIONE DELLO STATO DI INFESTAZIONE

La Varroa, dunque, è ora talmente tanto diffusa che non si cerca più di identificare se un alveare è infetto o meno, ma si procede direttamente con la valutazione dello stato di infestazione. Quando si possono apprezzare i principali sintomi di infestazione da Varroa, si è già in uno stadio pericolosamente avanzato.

Segni rivelatori

Uno dei principali segni rivelatori è, sicuramente, la presenza di covata disomogenea e irregolare, segno di maggiore mortalità. Anche la presenza di larve fuori posto o liquefatte, oppure di colore bruno (ma non vischiose) è un segno d’infestazione. Inoltre, le api sono in numero inferiore rispetto al normale, sono piccole, meno sviluppate, con ali deformi, e presentano difficoltà di volo. Altri sintomi possono essere il cambio della regina, uno stato di orfanità e l’abbandono dell’alveare. Quando si può vedere a occhio nudo il parassita ancorato al corpo dell’ape adulta, si è in presenza di una famiglia fortemente parassitata.

In tutti questi casi, con ogni probabilità si interverrà in ritardo, rischiando di non essere sufficientemente efficaci per ridurre l’infestazione e salvare la famiglia.

Metodi di valutazione

In casi meno gravi di infestazione, si può valutare il numero di acari presenti nell’alveare o prelevando un campione di api adulte o di covata, procedendo al conteggio della Varroa, oppure si può visionare periodicamente il fondo degli alveari, andando a individuare il numero di acari caduti. Per eseguire una valutazione il più possibile corretta, sono stati forniti dei valori di riferimento. Se in primavera, disopercolando 10 celle da fuco se ne trovano almeno 3 infestate, allora il grado di infestazione è da considerarsi preoccupante. Uguale considerazione si deve trarre se si nota la caduta giornaliera di 5 acari sul fondo dell’alveare. È possibile eseguire la valutazione del grado di infestazione anche direttamente sulle api adulte, utilizzando vari metodi, tipo lo ZAV, nel quale si impiega lo zucchero a velo, ritenuto in grado di far cadere il massimo numero possibile di acari.

I TRATTAMENTI ANTI-VARROA

L’unico modo per contenere l’infestazione da Varroa e preservare la salute della colonia è procedere in maniera corretta alla somministrazione dei trattamenti. Questi vengono generalmente eseguiti, in clima temperato, tra fine luglio e inizio agosto e a novembre, in assenza di covata e prima dell’invernamento delle famiglie. Abbiamo già affrontato il tema dei trattamenti tampone estivi, necessari per consentire alle api di giungere fino all’autunno nelle migliori condizioni possibili. I trattamenti sono di varia natura, prevedono l’utilizzo di  mezzi chimici, che tuttavia possono creare fenomeni di farmaco-resistenza, e di prodotti a base di principi attivi di origine naturali, consentiti anche per chi pratica il biologico. Alcuni ricorrono anche a strumenti di lotta meccanica, come l’impiego del telaino Campero per l’eliminazione della covata maschile.

L’aspetto fondamentale, tuttavia, è la somministrazione corretta del trattamento, con le giuste tempistiche e accortezze. Solo in questo modo si può ridurre il livello d’infestazione e consentire la sopravvivenza della famiglia. Sapere quando e come intervenire, quindi, è essenziale per la buona riuscita di questi trattamenti.

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